giovedì 9 ottobre 2008

Ironia di un viaggio annunciato

Perdersi per ritrovarsi. La sirena dell'autombulanza.
I wu cumpra che si affacciavano alle porte della sua attenzione, ma distratta evitava il loro sguardo, persa nei pensieri più veri. "Ma saranno più veri i miei pensieri o la realtà che si affaccia ammattita con il rumore di un clancson impazzito?". Così ritrovava la sua concentrazione nello sforzo di evitare di perderla. Le borse variopinte la distraevano, tentava di provarle, ma il pensiero suonava più forte di un tamburo. Forte come la pioggia quando tenti di evitarla. Non pioveva. Grandinava. Grandinava dentro. I cubetti di ghiaccio scivolavano amalgamandosi al sangue. Sangue blu. E' un eufemismo per dire sangue di chi non sa reagire o agire. Sangue non nobile, ma sangue timido. Il sangue rosso è il sangue di chi partecipa alla vita, non di chi la evita. Era abituata ad evitare la vita, ad evitare sorprese, ad evitare il dolore con un impermeabile, ma ad evitare anche la gioia, troppo calda per sopportarla. E' un assioma non vero "tutti desiderano essere felici" è piuttosto vero"tutti desiderano essere felici, ma non tutti cercano di essere felici". Ma quando la felicità bussa alla porta, è possibile anche non aprirla e dire "No grazie, è troppo per me?" Allora perchè non provava ad essere felice? A cosa le serviva correre senza giungere alla meta, oppure raggiungerla senza goderne il senso, il risultato? Perchè era uscita così sbattendo la porta dalla sala prove, proprio nel momento in cui stavano apprezzando la sua voce ed il suo talento, a cosa le era servito uscire senza riuscire? Riuscire. Dormire, morire. Avrebbe detto Shakespeare. Non si trattava di Amleto, ma di un dramma vero il suo, quello di Anna. Qualcuno le diceva "Ti manca determinazione". Altri: "La tua immagine va migliorata sei troppo insicura". Lacrime rigavano il volto. Un treno mai preso nonostante tanti tentativi, tanti fallimenti. Un treno che apriva le porte e su cui lei non era in grado di salire. Le scale. Erano proprio di fronte a lei. Una di quelle rare volte in cui i pensieri si mischiano alla realtà. Casa sua. Sua nonna che accudiva come una bambina venne ad aprirla alla porta, strillando "Chi sei?". Risposta secca "Anna". Lei"Ah, Anna" sembrò ricordare, ma poi "Anna chi?". Urlò come una forsennata "E a te chi ti ci ha ridotto così?" Sembrò ritornare calma. Parlavano, tra loro, così a botta e risposta di sentimenti essendo volate via le parole ed i ricordi. La nonna si accasciò sul divano, quasi morta. Anna provò l'istinto violento di abbracciarla e di ammazzarla nello stesso tempo. Può l'amore trasformarsi in odio in certe situazioni? Può l'amore convivere con l'odio? Può l'odio esssere nascosto, celato, sepolto ma essere sempre presente? I sentimenti sono barca senza remi soleva dire sua madre, e quella frase l'aveva protetta sostenuta, resa responsabile, ma, le aveva risparmiato quel mordente della vita che ricercava a tutti i costi nell'arte. Le evitava sofferenze ma anche gioie. Guardò i suoi stivali, in un momento le balenò l'idea di fuggire. In America, in Asia dovunque a piedi, in moto, in autostop. Dovunque non ci fosse famiglia e casa. Quegli stivali, li aveva comprati durante la gita scolastica a Londra, a Camden town. Anche lì si era persa per ritrovarsi. Ma con una gioia diversa, con la spensieratezza di chi sa che può riuscire, di chi insegue una meta, sapendo di conseguirla. Quegli stivali. Chissà forse proprio come il gatto con gli stivali, andavano indossati. Li provò per un attimo e si guardò allo specchio. Erano tutti sporchi. Ma davano l'idea di libertà. Le mancava una moto adesso. Una risata ilare le rapì il volto. Le si spalancò davanti agli occhi le Americhe, il Perù, l'India. Le si spalancò dentro un mondo. Il mondo. Il suo e non suo quello di tutti, non quello che evitava per concentrarsi nei suoi pensieri più veri, ma quello vero per evitare i suoi pensieri più tristi. Occorreva agire. Non poteva lasciare così sua nonna, eredità di sua madre e suo padre che erano andati all'altro mondo senza avvisare in un incidente. No, non poteva doveva accudirla, finchè morte non ci separi. Partire per un grande viaggio. Non poteva lasciarla. Non doveva. Imperativo categorico. "Gli imperativi sono imperativi e basta non c'è bisogno di dire imperativo categorico. Non lo sapevi, cara filosofia? Ma c'è un altro imperativo. L'Io. Lo dice anche Fichte. Io, non io, super io, no quello era Nietsche. Ma basta torniamo alla vita. ho voglia, dico voglia di un bel gelato, no che dico di un bel viaggio, come si fa?"
Aprì il cassetto. Non dei sogni, quello della cucina e sfilò un coltello appuntito. Lo puntò verso sua nonna, poi verso di sè, poi verso sua nonna, poi verso di sè. Ignara la nonna del pericolo, apriva e chiudeva gli occhi, come per assecondare i suoi gesti, stanca di una vita senza ricordi. "Allora vuoi ammazzarmi, o no?" Gridò a voce alta. il volto di Anna si colorò di rosso vivo, finalmente, della passione, di troppa passione. Una passione così non si riusciva a contenerla. Sfuggiva dagli occhi dalle mani in cui stringeva il coltello. Passione all'occhiello. La passione è come una barca senza remi, di nuovo quella frase, nella testa, nel cuore, ma ormai era lì. La passione la stava rapendo. Passione, ladra del senno.
All'improvviso suonarono alla porta. Con le mani non ancora sporche di sangue, corse ad aprire la porta. La polizia? Si dimenò come un cavallo impazzito, ma era troppo tardi. "Volevo ammazzarmi" continuava a gridare all'ispettore dopo l'interrogatorio. L'ispettore chiuse la porta. L'agente a lui:"Come ha fatto la polizia ad evitare il crimine?" Risposta secca ma lucida: "Se tutti i criminali parlassero a voce alta al mercato prima di commettere i crimini sarebbe comodo per le vittime e per la polizia!" "E adesso?" "Adesso il viaggio sui conclude in prigione! Tentato omicidio" Seguì risata metallica. "Nessuna pietà per una nipote che ha perso il senno ed il senso della famiglia". Il sole calò cupo e triste quella sera. Calò cupo sul sorriso sarcastico di Anna.
Ispirato dalla canzone di Vasco Rossi "E adesso che tocca a me"

lunedì 22 settembre 2008

E' un pò freddolosa. Cammina spedita, guarda a terra,, se cogli il suo sguardo, ti comunica ansia. Ansia di andare. Ansia di cercare nuove cose. Inappagabile. Insaziabile eppure fugace ed affascinante. Così bella, che ognuno tenta di seguirla, di avvicinarla senza riuscire a parlarle. Un' amazzone ben educata, molto British. Ho bisogno di lei per sentirmi viva. Amica, nemica freddolosa fretta

domenica 3 agosto 2008

Pura paura

Pura paura. La paura la conosci, la intuisci, ma quando la incontri è difficile evitarla. Puoi giocare con la paura perché appaia più easy, più sexy, più gay, più presentabile, perché abbia un vestito diverso da quello usuale, puoi dialogare con le tue paure ma, alla fine resta un gioco sporco, finisci per macchiarti di una bella macchia color paura. La macchia della paura è una macchia rosso sangue indelebile, non va via come il vino rosso, che magari bevi per dimenticare le tue paure. La pura paura è diversa dalla paura di qualcosa. La pura paura non va via facilmente, perché finisce per condizionare la tua vita. E’ la paura di qualcosa di indefinibile, avverti che un pericolo è incombente, ma non puoi far nulla per evitare di sottrarti. E’ come restare sospesi a testa in giù nel vuoto, sai di dover cadere nel vuoto ma aspetti che qualcosa o qualcuno corri a salvarti. Vizi e capricci della paura. Ma adesso basta ho paura solo parlar di paura e a ricordar quello che è successo ….

domenica 8 giugno 2008


"Stucked in a moment you can't get out". Il tempo è una prigione. Difficile liberarsi.

giovedì 29 maggio 2008

Dal diario di un'autistica


Ma cosa credi che non so comunicare solo perché non so parlare? Adesso do uno schiaffo al primo che passa. Ecco, perché mi guardi così? Sono nervosa. Si. Sono nervosa. Perché non mi capisci. Perché non so parlare. Non mi capisci solo perchè non so parlare. Ma ho un sacco di cose da dire. E capisco. Diamine. Capisco, molte più cose di quanto tu possa immaginare. Perché so sentire, capisco perché ricordo. Perché non so accettare l’ipocrisia, il perbenismo, l’indifferenza, gli sguardi di pietà. Si, proprio tu che mi guardi torvo, che non ti avvicini, o che mi respingi con la mano, quando tento di avvicinarmi. A volte strillo. A volte scandisco con la bocca delle cose, non so forse dei suoni, tento di farmi capire e quindi ricorro alla forza. Si, agli schiaffi. Perché ci sarà un modo di farti capire che esisto in classe. Esisto anch’io. Non ve ne siete accorti? Quando butto via le cose, è perché non voglio lavorare. Quando disegno, mi rilasso, scivola la mia rabbia sul foglio. Si scioglie come la cioccolata fondente nel forno, quando prepari un dolce. Ma preferisco le patatine. Ho anche i miei gusti, cosa credi? Cose salate, perché la dolcezza amo misurala. Me ne difendo. Non mi fido. Ma abbracciami. Si, anche se ti respingo, anche se allontano la mia mano quando vuoi farmi una carezza, tu non ti allontanare. Abbracciami lo stesso. Dammi la tua mano. Se mi dai la tua mano, io so che mi sei vicino, che non sono sola. Allora posso parlare. Si scioglie la lingua, dico qualcosa simile al tuo linguaggio e tu mi comprendi. E’ una magia. E’ bello quando ciò accade. Ma nella mia vita, ad un certo punto è successo qualcosa per cui si è interrotta la relazione tra me e te, tra me ed un altro. Ho paura. Ho paura quando alzi la voce, ho paura quando c’è rumore intorno. Ho paura, difendimi. Anche quando ti allontano, soprattutto quando ti allontano. Io esisto. Esisto con le mie passioni, esisto con le mie paure, esisto con la mia voglia di innamorarmi, esisto con la testa e con il cuore. Lì dove la mia testa non arriva a comprendere, mi aiuta il cuore. Il cuore mi aiuta a comprendere anche quando mi lasci sola, quando hai bisogno dei tuoi spazi, quando sei nervoso e mi allontani. Per questo so perdonare. Ti cerco perché so perdonare, cosa credi? Ho bisogno di te. Come quando scorre l’acqua nel lavandino e non c’è il tappo. Il rubinetto non è chiuso. E’ questo mio bisogno che ti fa paura? Allora perché metti le distanze? Perché crei quella separazione? Io non voglio separarmi, non ci riesco. Non voglio crescere. Non so crescere. Devi capirmi. Se smetto di fare la bambina, se tu capissi che io sono in grado di fare delle cose, se divento più indipendente, tu ti allontaneresti ancora di più ed io ne soffrirei, anche se non parlo. La gente pensa questo. Che non so stare in mezzo alla gente. Non è vero. Io desidero stare in mezzo alla gente. Adoro ascoltare la musica. Mi rilassa. A volte canto. A volte leggo. A volte studio. Sempre sento. Ci sento. E tu? Cosa credi? Anche tu vivi il tuo autismo. Quando non hai voglia di parlare, quando ti chiudi nella stanza, quando torni a casa, e speri che non ci sia nessuno, quando allontani la tua immagine riflessa perché non ti accetti, quando eviti gli sguardi. Ti ricordi? Per esempio, quella volta mi raccontasti che non avevi voglia di aprire la porta per affrontare la vita, o di saltare quel cancello. Allora sai che ti ascolto. Tu mi parli. Ed io ascolto. E’ facile per te. E’ comodo. Non posso oppormi. So ascoltare e questo fa di me la migliore amica del mondo. Sto in silenzio. Oggi quando tutti hanno voglia di parlare, di dire cose senza senso. Io ascolto e ti restituisco un senso. Ti sto vicino. Ti restituisco la capacità di sentirti forte. Con la mia debolezza. Allora, mi usi. Usi i miei bisogni per nascondere i tuoi. Non ti allontanare. Usami pure, ma ricordati che tutto ciò ha un senso. Io ti restituisco il senso. E sopratutto io sono io, senza etichette.
Dal mio mondo al tuo,

Con affetto,
G.

lunedì 26 maggio 2008

Inauguro la stagione della scrittura whiskey. La scrittura della ribellione, della fantasia, dei pochi punti esclamativi e virgole. Stagione primaverile fatta di flusso, non pause, di passione e voli pindarici, perché la scrittura è anche questo è un po’ morire per capire – carpire la vita ed indossare le ali. Senza falsi erotismi od afrodismi.

lunedì 19 maggio 2008

Silenzio





Il silenzio è oro, non lo puoi bagnare d'argento. Il silenzio è oro, a volte ha un senso, a volte è solo un vuoto di parole. Ci sono silenzi che sono bellissimi da ascoltare. Ci sono silenzi duri come pietra. Ci sono silenzi che fanno eco, rimbombano nella testa come parole mancate, come parole non dette che vibrano al suono di un basso, che ripete sempre lo stesso ritmo. Ritmo. Ritmo di respiro. Aria. Il silenzio è aria. A volte. A volte, invece nel silenzio, l' aria ti manca. Vorresti respirare le parole, ma le deglutisci. A volte il silenzio è come il vento, porta via le parole non dette da un orecchio all'altro. Empatia. Il silenzio è oro. Non lo si può spacciare come un falso.

sabato 17 maggio 2008

Vento ladro
che derubi il mio foulard
e tenti di violarmi
tra i capelli
scivoli tagliente
sul viso ancora addormentato
affannosamente
mi dibatto
e a duello sfido la tua impazienza

mercoledì 14 maggio 2008

Stelle

Stelle
bagnano di luce il cielo
come tanti spruzzi di vernice
non cercano fortuna
solo sogni blu ....
E' ora di camminare

Timida la luna
sfiora le nubi
Fragili ombre
sul suo candore
di improvviso svanisce
come era apparsa
e ciò che sembrava potesse durare in eterno
svanisce in solo attimo....

Cammino
in pugno solo briciole di libertà
e negli occhi il cielo

martedì 13 maggio 2008

Tramonto

Cime dorate
odo melodie rosa
rosei voli d'acquila
mentre il sole scompare
alla mia vista
lentamente
come spicchi di un'arancia matura
dietro la montagna
Rimpiange il cielo
il suo sole
inghiottito
dal male

Tramonto


Gocce di luce
volano sul mare timido
Schizzi d'allegria sulla paura
lontana, antica, nemica
mi guarda triste
mentre scivolo via
ferocemente viva
vivo io

lunedì 12 maggio 2008

Mio unico amore, mio unico odio, prodigio d'amore amare un nemico
Romeo e Giulietta, Shakespeare
Certe notti canta qualcuno, certi giorni aggiungo io certi giorni ti senti uguale, monocorde, come una chitarra scordata. Fai fatica a metterti in piedi, a ricordare il tuo nome e dove vai. Ti alzi e sai di non doverti alzare ti rimetti in piedi con la forza della nenia che hai testa, ma certi giorni, dopo certe notti, sono davvero indigesti. Il gallo non canta per svegliarti. Non più. C’è la sveglia, ma la sveglia non serve quando la voglia di fragole, ti fa aprire gli occhi. Ho voglia di fragole. Ho voglia di masticare qualcosa di dolce in attesa di qualcuno che mi inondi con la sua freschezza primaverile. Ho voglia di fragola. Fragola rossa, Fragola di bosco. Del bosco dove è stata colta. Dell’erba su cui riposava, e su cui vorrei camminare a piedi nudi. Ho voglia di stiracchiarmi. Di fingermi ancora assonnata e di mordere labbra di fragola rossa. Rosso come il sangue che batte nelle arterie alle tempie, rosso come il volto dopo un’emozione violenta. Rossa come la rosa che ho ricevuto. Chissà perché ma le fragole si fanno attendere così come le donne al primo appuntamento. Le desideri quando non ci sono, così come l’amore, ti manca quando non c’è. E’ quando non c’è che ne hai più bisogno. “Mio unico amore, mio unico odio, prodigio d’amore amare un nemico” Shakespeare. L’amore è nemico anche quando non si ama un nemico.

martedì 6 maggio 2008

Mari onda

Non sono solo spruzzi, ma sprazzi di vita. Devo fare in fretta prima che la mente sbiadisca i ricordi o li renda diversi dalla realtà, non ho più scritto giorno per giorno. Ho preferito ingannare il tempo, cercando di non estraniarmi con la scrittura.
Adesso tutto si presenta un pò confuso. Dunque eravamo a Milos.

Da Milos siamo partiti per Paros. Altro giro, altra corsa, con un cambio nell’equipaggio. D. veniva sostituito dal nostro amico A. A Paros c’è stata una riunione per capire se fosse il caso di proseguire per Mikonos, o scegliere una rotta più breve. Eravamo divisi in due gruppi ma, alla fine, ha prevalso l’idea del giro breve con tappe piccole e più notti in rada. Vigliaccheria o amore per la natura?

Prima tappa Naxos, non prima di aver fatto un bagno in Antiparos. Il ricordo di Milos a cui non ho accennato mi sconvolge ancora e devo interrompere la mia narrazione per descrivere ciò che vedo davanti i miei occhi. Eravamo nei pressi di Milos. Una caverna, un varco tra le rocce era davanti ai nostri occhi. Le rocce bianche e levigate dal tempo si aprivano e lasciavano spazio all’immaginazione. L’immaginazione è figlia della curiosità, sorella del desiderio. E quel desiderio ci spingeva a fermarci per guardare oltre, oltre il varco. Nel frattempo cercavo nella mente delle immagini, cercavo di esplorare con la mente oltre il varco. Acqua limpida? Una grotta? Il tempo trascorreva, ci avvicinavamo alla meta ma non riuscivo a capire, c’era qualcosa di misterioso. Tra la sorpresa di tutti, si intravide sabbia bianca. Il tempo aveva logorato le rocce ed aveva scavato un varco, una piscina naturale racchiusa tra le rocce ed invisibile dal mare perché nascosta dalle montagne. Una volta di quelle rare volte in cui la realtà supera la fantasia

Da lì, sono risalita fin su alla barca a nuoto. I pesci accompagnavano di nuovo il mio andare ed io mi sentivo sicura anche se lontana dal resto del gruppo. Salita a bordo, una voce amica mi rimproverava di allontanarmi troppo a nuoto. Risposi "Non c’è di che temere". Ammetto di essere un pò spericolata. A Tenerife, alcuni anni fa, durante un'escursione stavo per cadere a causa del terreno franoso in un dirupo, inghiottita dalle onde, mi salvaì con la forza delle mie sole braccia. Riuscii a risalire su per la roccia fragile. Due anni fa, invece, mi tuffaì dalla barca a vela, in acqua senza cima, con mare lungo e riuscii a galleggiare per molto tempo tra le onde perchè la mia barca era lontana e l'equipaggio non riusciva a ripescarmi a causa del vento. Il mare è mio amico, non mi ha lasciato mai naufragare.

E Milos? Il paese, il porto? Molto raffinata e romantica. Baretti sul porto in fila indiana accoglievano i turisti ed i naviganti, mentre viuzze fitte e dai caratteristici negozi le facevano da cornice. A sera luci soffuse, i bar accoglievano con i loro divani e sofà dal sapore fetish. Lì la natura sembrava aver fatto l’amore con il turismo senza scomporsi.
Eravamo a Naxos, ma Naxos non mi ha lasciato nulla nella memoria, eccetto per una bella veleggiata nel tragitto da Antiparos a Naxos. Onde lunghe, acqua che entrava in ogni dove, ma sorridenti accoglievamo tutti gli spostamenti, perché le vele gonfiate dal vento ci procuravano ilarità. Nel silenzio rotto solo dal vento proseguiva la veleggiata. Rotto lo stereo. Rotto anche il vento stufo di ascoltare le nostre voci che intonavano canti: Mannoia, Battisti, Vasco… Così rotto, da trasportare le nostre voci lontano verso la riva.

Era fulva quell’allegria, come fulvo il vento tra le onde. Bagno in acqua blue e ruvida sera.
Notte di rada, notte in rada, rara notte in cui non hai null'altro da fare che raccogliere con lo sguardo le stelle cadenti. “Qual è la tecnica?” Intona JJ. Ed io “Fissane una finchè non le porti jella e cade”.

Notte di stelle. Buona notte alle stelle, buona notte ai naviganti coraggiosi, a quelli che mangiano yogurt o nutella per ammazzare il tempo a quelli che sognano sotto il manto di luce, a chi è pratico e tiene sotto controllo la randa, il timone, la cima, a chi non vede l’ora di ormeggiare. E Buona notte a voi che leggete le mie note

lunedì 5 maggio 2008



Il mare consolida l'autostima, perchè non ci sono i rumori della città a rimpiciolire il tuo ego
Maria de Mar

Mari onda


Buon giorno anche a te con gli occhi arrabbiati, buon giorno anche a voi amori appena nati. Canta Loredana Berte' ... Il buon giorno sul mare si vede sopratutto da un cielo limpido. Il gioco e' meno duro ed i duri iniziano a sognare. Chi assaggia il sole, chi legge un libro, chi conduce il gioco. Chi sfida il mal di mare girando il riso nella pentola. In barca si crea una mini societa'. Il leader e' lo skipper che pensa un po' al bene comune, come amministrare provviste. Gli spazi sono ristretti e guardare il mondo da un oblo' a volte e' difficile. A volte hai solo voglia di dormire in coperta, nel pozzetto, altre volte cerchi terra perche' vorresti camminare.
Dare del tu al mare e' una strana sensazione, conoscere ogni sua mossa, per catturare il vento e favorire la navigazione. Il mare aiuta l'autostima, perchè non ci sono i rumori della città a rimpiciolire il tuo ego.
Due giorni fa abbiamo ballato sul ritmo di onde alte 6 metri. Sgomento, paura, manovre rese difficili da strumenti inaffidabili e marinai tramortiti. Quando hai lo stomaco sotto sopra, la barca sembra essere divorata dalle onde, dimentichi tutte le immagini bucoliche vorresti solo mettere i piedi a terra. Finalmente terra: Santorini. Nel cercare un posto dove ormeggiare ci attendevano altre due ore di navigazione. Ad aiutarci ad ormeggiare al porto erano li' pronti due pescatori con il loro inglese dall'accento greco... e senza accettare alcuna ricompensa. E' incredibile la solidarietà che si crea nei porti. Dopo la luna in un bicchiere con ghiaccio e gin.
Oggi, ascolto un po' di musica a prua, coccolata dall'aria morbida, dopo una sosta in una caletta. Nuotando mi hanno fatto compagnia timidi pesciolini. I pesci sono i migliori amici dell'uomo, puoi dir loro qualunque cavolata, ti ascoltano senza ribattere. Hai sempre ragione tu, loro restano in silenzio. E'bella la sensazione di avere sempre ragione.
Una grotta ci accolti tutti ed il silenzio e' stato rotto da risate, urla. Il tempo scorre senza che ce ne accorgiamo non riesci a distinguere tra ieri oggi come tra il cielo ed il mare, mentre la musica va. Notti in rada, notti coperti di stelle, mangiamo pane e semplicita' ogni giorno, qualche chiacchiera affogata nel Martini e la paura della traversata va via e lascia il posto alla serenita'. Santorini ci ha offerto lo spettacolo di un'isola movimentata, ma che lascia spazio a scorci e paesaggi. Da terra, paesaggi brulli e aridi si alternano a vegetazione. Ieri abbiamo salutato Santorini in direzione Milos. Sosta in un'isola di cui non ricordo il nome, notte in rada. Dal porto di Milos e' tutto


sabato 3 maggio 2008


"Dove andiamo?" "Non lo so, ma dobbiamo andare"
Jack Kerouac

martedì 29 aprile 2008

Mari onda




4 Agosto

Il gioco si fa duro ed i duri inziano a giocare. Gialla attesa disattesa, nera rabbia. La barca era in condizioni pessime: dopo un check in, ci siamo rimboccati le maniche. Chi imprecava contro l'agenzia, chi rideva come uno spettatore esterno alla vicenda. Ma si sa nei porti si diventa come le dita di una sola mano. E quell'angolo si e' trasformato in una fucina, chi trasportava i materassini fuori, chi li puliva con l'aspirapolvere, chi andava su e giu' a fare provviste, chi lavava fuori, chi dentro. Ognuno il suo compito...formiche al lavoro. Ma una greca attesa ci attendeva anche al ristorante. Abbiamo bevuto la dolcezza della sera nel pozzetto.... luci suffuse il porto semi addormentato, le stelle cadevano negli occhi.


5 Agosto


Svegliaaaa.. ma non si potrebbe dormire un altro po'? Come un bruco mi arrotolo nel lenzuolo..... impossibile la fucina si era gia' al lavoro... ma un caffe'; mi attendeva sul pozzetto... Il buon giorno si vede dal caffè e quello era proprio un buon giorno, visto che era già pronto sul pozzetto. Lentamente su aprivano i miei occhi davanti alla bellezza. Una spiagetta mi salutava lì, di fronte... le barche tutte intorno come damigelle mi invitavano al sorriso. Flo andava su e giu'; con biscotti, latte, cornettini. Che immagini bucoliche. Ma il vento ci sfida. Prima veleggiata I duri continuano la sfida.

giovedì 24 aprile 2008

Mari onda


STO PART ENDO ma non sto dicendo stop all'arte che ho dentro. Scrivo righe su fazzoletti di carte per spettatori attoniti, mentre la penna scivola sul foglio, spio in qualche vita. Il trend all'aeroporto prima di partire e' l'ultima telefonata. Un saluto prima di lasciare il nido. "Pronto? sono all'aeroporto"... gli addii i distacchi fanno male e partire è un po' come mangiare un sandwich ad una tavola calda. Un gruppo di americane condividono avventure, momenti di felicita' arancione. Chissa; perche' ma l'attesa io la immagino vestita di giallo. L'attesa è pigra, l'attesa attende o teme o spera. Si può essere in dolce attesa, come due nostre amiche dell'equipaggio. L'attesa e' calda. L'attesa brucia dentro anche se non la vedi.

4 Agosto

Abbiamo lasciato Paros alle spalle. Le pregnant women sono distese su tre sedie bellissime nel loro volto stanco ed infantile. L'entusiamo e' velato da un pò di stanchezza ma diventerà di nuovo rosso sangue quando vedremo le nostre imbarcazioni a vela. Il cielo e' sereno a prua ci saluta il vento. Intanto terra, Paros primo porto Da qui e' tutto Mari onda

O sol copp' o munn


Spremut' e sol copp' e piopp
l'un appriess a nat
comm' criatur for a scola
simm turnat piccirill
ognun rint o' suoiee
quann' t'avev truvat t' ne vaie
alleria
Suonn duorm
Nun m' scetat chiuù

lunedì 21 aprile 2008

La pioggia

Rapidamentela sento scorrere nelle vene
sangue di nostalgia
sangue di menzogna
di una primavera
annunciata e negata

Improvvisamente è menzogna
come un desiderio negato
e poi odiato
l'ignoto
batte forte
sulla finestra
cubi di ghiaccio
e voglio
calore da spalmare
sulla pelle
ruvida di brividi

e dormo
e sogno
l'estate di domani
la primavera che non c'è
io vedo

venerdì 18 aprile 2008

Vita

La vita è un cortometraggio. Hai voglia di fare un kolossal ma non basta la pellicola.
Andrea G. Pinketts

giovedì 17 aprile 2008

Chimica dell'amicizia


Il piccolo chimico mi guardò perplessa, infatti avevo nella mano la soluzione ai suoi perché, frutto di ricerche, di studi e di riflessioni. Non conoscevo la chimica in modo così approfondito, ma mi bastò guardare il suo esperimento per capire che occorreva aggiungere al solvente un po’ di alcol, solo un po’ d’alcol.
Il piccolo chimico, tanti anni di studio, di esperienza alle spalle cercava, studiava un composto adatto per trattenere l’amicizia. Non capiva no, non comprendeva come mai i rapporti umani (non tutti) ma, alcuni si, erano costretti a deteriorarsi. Di animo sensibile, aveva speso la sua vita, a ricercare un solvente per incollare affettivamente gli amici.
Non ne poteva più, proprio più di rapporti profondi deteriorati dal tempo, dalla lontananza, da invidie, o da litigi.


Diceva a se stesso “Se riuscissi a trovare il brevetto del solvente incolla amici” gli amici non si separerebbero mai più. Non ci sarebbero né guerre, né carestie, regnerebbe la pace, la concordia.
La soluzione gli era balenata in mente un giorno correndo nel parco. Una foglia gli si era appiccicata sulla fronte e nemmeno il vento riusciva a strapparla via. Si, diceva, se gli amici restassero sempre così appiccicati come questa foglia.. non avrei da lamentarmi, né da sospirare. Aveva speso la sua vita a cercare la soluzione al problema dell’amicizia, rinchiudendosi in una torre d’avorio per studiare e ricercarne la soluzione.
99 anni di studi e di ricerche per l’umanità, ma la soluzione l’aveva a portata di mano e non lo sapeva.
Quando gli offrii dell’alcol, capì ciò che mancava alla soluzione: un bicchiere di vino.
Alcol si, vino. Quando mi offrì del vino, capì cosa gli mancava. Capì che non aveva bisogno di studiare, quanto di lasciarsi andare. Quando gli offrii del vino, pianse per non ricordare di essere stato chiuso al mondo e di goderne il significato solo adesso. Quando mi offrì del vino iniziò a parlare del suo passato, della sua vita spesa per la chimica. Quando gli offrii del vino, bevve dal suo calice di cristallo
fantasia, gioia, dolcezza, simpatia. Sapevo che non si trattava del vino ma della compagnia che stava sperimentando in modo nuovo. La paura di sentirsi abbandonato dagli amici, l’aveva rinchiuso in un sogno, una missione, nascondendo in realtà la paura di darsi senza ritorno.
“Darsi” equivale ad odiarsi in certi momenti. Uscire da sé, per ritrovarsi diversi e più ricchi. Darsi equivale ad anche ad amarsi.
Insieme è una parola carica di significati. Significati a volte odiosi per chi non ama allentare il proprio “ego”. Il composto per allentare l’ego lui lo conosceva, frutto di anni di ricerche. Tutte queste teorie cadevano ad un ad una. Amicizia inizia con A e non ha fine questo, non doveva insegnarlo lui? O doveva apprenderlo così da un bicchiere di vino?
Quell’alchimia magica di sogni, di intenti, di giorni spesi a cercare una soluzione era tutta lì in quel bicchiere. Si, perché il chimico in realtà cercava di costruire una soluzione adattabile a qualsiasi forma di relazione umana. Nessun composto avrebbe ricreato l’amicizia, né quella situazione. E’ un’alchimia spontanea. Non restava che andare a dormire, profondamente commosso da quell’incontro, da quella gioia. Si diceva “uscire dalla torre di avorio, quello aveva ricreato l’alfa e l’omega dell’amicizia”. E un bicchiere di vino era stato il movente, la chimica, il solvente che aveva cercato di ricreare invano in un laboratorio, era nascosto dentro di sé.

martedì 15 aprile 2008

Non ho più parole, le hai prese tutte tu!
Mi lasci un sospiro, una emozione rauca, un aquilone su cui poter volare...?
Non ho più parole.....le hai prese tutte tu, però sono contento ..... mia ladra di parole, ancora un'alba stanca e poi ti perderò........

Gneo

venerdì 11 aprile 2008

Incipit


Ma chi lo dice che non si può vivere senza amore?
Con o senza di te non posso vivere? (U2)
Con o senza di te posso vivere eccome!
Non sopravvivere ma vivere!
Non demordere troverai l'amore?
Ma chi lo cerca? Chi ne ha bisogno? Uscì dal cinema con la testa piena di idee confuse dopo l'ennesimo film "strappalacrime" basato sul concetto di amore eterno. Certo lei l'amore eterno lo cercava senza dubbio, ma senza volerlo veramente cercare. Trovare non era un problema. Il problema era cercare. Lanciare il sasso. Non in testa a qualcuno. Lanciare una freccia cupidiana, semmai. Un misto di rabbia e di amarezza le rubava il senno. Alcune volte assomigliava più a se stessa. O era lei in un'altra persona. Non occorre essere se stessi. Almeno non sempre, almeno occorre sentisi altro da sè almeno una volta ogni tanto, per non perdere l'abitudine di sentirsi in compagnia, di qualcuno che ti assomigli quando ti guardi allo specchio e parli a te stesso. L'amore? Un equazione matematica da risolvere...

Nonostante Clizia

05 novembre
io vivo
....
Io vivo ancora nonostante Clizia
che mi ha ammazzato con la sua mestizia
Vestita di nero come liquerizia
a un funerale, in fondo mai avvenuto,
ma vivo son vivo, e ho anche un pò bevuto
Si muore mille volte
da vivi sottolineo
C'è tempo per le svolte
e tempo di sterminio
Ma dopo tutto
nonostante Clizia
io vivo, sono vivo
E' questa la notizia

Andrea G. Pinketts

giovedì 10 aprile 2008

tempo e temporali

Ci sono temporali che non fanno rumore


Tempeste silenziose


che ascolti solo quando è sera


o alle prime luci dell'alba


come l'inquietudine


o l'emozione di esserci


e di ritrovarsi


Inevitabile il sapore


agrodolce di superare


ed aggiungere nuovi confini


al proprio sè


Ci sono temporali

impercettibili, e inodori


che si accavallano nella mente


vorresti placarli


ma, come una nenia


cantano in testa


ci sono temporali


e tempo per ali


tempo per ridere


tempo per piangere


tempo per volare

Equilibrandomi

E sto


Nuvola di passaggio


Vento tra le foglie


Filo spinato


E so


Innocenza condivisa


Attesa mai certa


Speranza d'arancio


Conosco


Vita, vite, viti


Saggezza da spalmare


Volgo e travolgo


Trame di vita


Vissuta e di vita che verrà


Equilibrandomi

TRINCEA

l' ESISTENZA SFIORA
I PASSI NEL SENTIRE
SPORCA E SANGUINANTE
LA VITA RIDE
CON I SUOI AMICI CIECHI
DESIDERIO E FORTUNA
MA LA VIOLENZA GETTA
LA CUPA NOTTE DENTRO
SENTIRE SPARISCE
E TORNA IL BLUES NELLA STANZA

Ironia

Piogga
scioglie l'angoscia
ritorna su e
bagna un cielo senza nuvole
come sabbia scivola
dalle mani la paura
le onde mi avvolgono
una luce calda
copre il mio sguardo beffardo

Da "Una storia semplice di Sciascia"

CAP. I
SCENA I
Roghi ovunque. La gente lancia dalle finestre e dai balconi sedie, tavoli e altra “robaccia vecchia” in legno. C’è fumo tutto intorno e aria di festa. Nel cortile antistante la questura, i ragazzi giocano con i roghi e, guardano i fuochi con soddisfazione.

Una mamma esce da un portone di corsa e si dirige verso suo figlio:
Madre: “Figliu, giocasti ancora con il fuoco?”
Da un ceffone al bambino
“Matta mi facesti diventare, entrai e uscii dal portone mille volte e io devo lavorare”
Una voce tra i ragazzi “Antò, vai che tua madre deve fare la ciar …bottana…
Risate

Scena II:
Questura. L’ufficio è illuminato da una luce fioca. Stanza vuote ma illuminate. Il telefonista guarda l’orologio in attesa di smontare. Sono le 9.37. Ha i piedi sul tavolo che gli sta innanzi e giocherella con le carte d’ufficio sul tavolo. Il telefono squilla. Si sistema sulla sedia come se fosse stato “colto in frangante”
Telefonista: “Questura. Si, pronto…”
Silenzio…

Telefonista: “Pronto”
Roccella: “Mi chiamo Roccella. Giorgio Roccella”
Silenzio
Telefonista: “Si, dica pure”
(con aria seccata, ma professionale)
Telefonista: Vorrei parlare con il Sig. Questore
Telefonista(con aria ironica):
“Il Questore non è mai in questura a quest’ora”
Telefonista: “Le passo l’ufficio del commissario?”
Roccella(con voce tremante): “Si, grazie”
Telefonista ad alta voce dopo aver tirato un sospiro
“Tutti a me i matti, il questore a quest’ora il giorno della vigilia di San Giuseppe ”
(ride sarcasticamente)

Scena III
Interno della questura. Sulla parete ormai grigia, accanto alla scrivania del commissario sono appese delle cartoline di Cuba. La scrivania è piena di polvere e di carte, mal riposte. Il commissario accanto alla porta si sta infilando velocemente l’impermeabile grigio, apre la porta. Fischietta. La porta si apre. Il telefono squilla.
(Inquadratura sul brigadiere)

Il Brigadiere: “Commissario, rispondo io?”
Commissario con aria canzonatoria e facendo un giro su se stesso, facendo un passo di salsa:“Sicuro, io sto per andare alla fiesta”
Brigadiere: “Pronto?
Roccella: “Pronto, mi chiamo Roccella. Giorgio Roccella. C’è qui una …(pausa) una cosa che dovrei mostrarle”
Brigadiere: “Una cosa? Mi può spiegare con precisione di che cosa si tratta?”
Roccella: (con voce tremante) “Non è opportuno per telefono. Ma è una cosa che è di sicuro interesse per la polizia. Io non posso tenerla qui, capisce”
Brigadiere: “Capisco…. (pausa)
(Con aria diffidente)
Brigadiere (con tono di sfida):
“Mi dà, per lo meno, l’indirizzo preciso. Sa, sarà “non opportuno” (alza la voce) ma non vorremmo girare mezza Sicilia”
Roccella: “Contrada Cotugno, bivio per Monterosso strada a destra”
Brigadiere (ad alta voce ed annotando sul foglio)
“Contrada Cotugno, bivio per Monterosso strada a destra”
Roccella: “E’ esatto. Ma faccia presto, è urgente” (alzando la voce)
Brigadiere: “Saremo lì il più presto possibile”
Roccella (rassicurato): “Grazie”
Il Commissario: “Chi è?”
Brigadiere (con aria affettata): “Sig. Commissario, è un certo sig. Roccella, dice che è urgente, è un affare importante, cioè ha detto ci aveva una cosa da farci vedere, ma non ha detto che cosa, ma è urgente, è a 15 km da qui. Vado a vedere di cosa si tratta?
Commissario: “Figliu mio, calmati, e fammi capire” Si alza e fa un giro intorno al tavolo, poi si ferma e prosegue:
“Ah, Ma questo è uno scherzo. La gente ha voglia di scherzare, specie a San Giuseppe” (alzando la voce)
“Questo Roccella è un diplomatico, console o ambasciatore non so dove”.
“Nun ce nissuno (siciliano) la casa è disabitata. Non viene qui da anni”. “I ladri non ci andrebbero mai né tanto meno a portarci una cooosa”
Brigadiere: “Capisco. Una vecchia masseria, ci sono passato sotto tante volte”
“Si la casa in città è in rovina, figuriamoci, quella di campagna, un rudere, ci pisciano li gatti”
Commissario (dubbioso): “ Ma ha detto una cosa o un cadavere?”
Brigadiere(con fare di nuovo ansioso): “Una cosa. Ma, ha detto che era urgente, sembrava spaventato”
Commissario: “Io ci andrei domani, picciotto miu, domani ti fai una passeggiata in campagna e ti porti pure un fiaschetto di vino rosso, tanto è uno scherzo, e se non lo è, i morti mai risuscitarono”
Il commissario apre la porta per uscire, torna indietro dicendo: “Ah io domani, non ci sono per nessuno matto o normale che sia. Vado a festeggiare in campagna da un mio amico”
Esce cantando una canzonetta in siciliano
Brigadiere: “Mah”
(perplesso)

SCENA IV:
Contrada Cotugno. Si vede il letto di un fiumiciattolo ormai essiccato che scorre ai piedi di una collina. Ci sono alberi intorno la vecchia masseria, il sole in alto è già forte e caldo.
Il Brigadiere e due agenti:
Agente Scogliamiglio : “Brigadiè, ha visto che cicoria?”
Brigadiere: “I cesti lasciali in macchina, tanto tornando dalla masseria, passiamo di qua”
Agente 2: “E’ proprio una bella giornata, l’ideale per una scampagnata”
Brigadiere (con tono tra alterato e di scherno): “ Scogliamiglio, guarda che questa non è una passeggiata, vedi che salita ci aspetta prima di arrivare alla masseria…”
(ride)
Scogliamiglio:”Mizzica”
Brigadiere (in tono alterato): “Cosa hai detto, Scogliamiglio?”
Scogliamiglio: “ho detto pizzica, quest’ erba pizzica un poco”
Sottovoce all’altro agente:
“Nemmeno ll’italiano conosce e tutto il puritano della lingua fece”

SCENA V
Davanti ai magazini due agenti soli
Agente Scogliamiglio: “Ma questi muri sono ctroppo alti. Iammaninne, al brigadiere diciamo che è tutto apposto e che il sopralluogo lo abbiamo fatto, o sennò il sopralluogo se lo fa lui e quella buona donna della moglie, così la scampagnata se fannu”
(Ride)
Da dietro compare il Brigadiere
(facendo finta di non aver sentito e con tono alterato):
“Scogliamiglio, la scampagnata non è ancora una scampagnata, il commissario faceva così per dire… sennò come li trovava due fessi, cioè volevo dire due agenti che venivano il giorno di San Giuseppe a Roccella?”
Scogliamiglio: “Agli ordini, brigadiè”
Agente2: “Signor, si”
Brigadiere: “Bene, Andiamo”

SCENA VI:
Alle spalle del Brigadiere ci sono dei magazzini. Davanti un villino circondato da porte chiuse da catenacci nuovi.
Agente Scogliamiglio (tornando con il fiatone): “Brigadiè, è tutto apposto, non c’è nulla di strano, solo tanta gramigna da estirpare”
Brigadiere: “l’ho dicevo io che avevi da fare l’erbolaio, e non il poliziotto, che mi interessa della gramigna, Scogliamiglio?”
Una voce da lontano:

Agente 2: “Brigadiere, venga un po’ di qua”
Il brigadiere e l’agente Scogliamiglio corrono verso l’altro agente.

SCENA VI:
I tre sbirciano alla finestra. Si vede l’interno di uno studio. Un uomo accasciato sul tavolo.
Avvicinandosi ad una finestra:
Brigadiere: “Sembra morto, ma forse siamo ancora in tempo”
Scogliamiglio: “Qui ci vuole un chiavistello, per aprire”
Agente2: “Si, anche ago e cotone per ricucire il tutto”
Brigadiere: “Svelti, forse si è mosso, forse siamo ancora in tempo”
Brigadiere (dopo aver rotto la finestra): “Ahia, male mi feci”
Agente2: “Tutto a posto?”
Brigadiere: “Solo un taglietto”
Il brigadiere si avvicina al cadavere e si asciuga la ferita con un fazzoletto
“Morto. Non toccate niente”
Agente 2: “Sembra morto anche da tempo, che puzza qui dentro…”
Brigadiere: “Non toccate nulla, finestra, telefono, nulla”
“Agenti, perlustate ma con attenzione”
Agente: “Brigadiè qua c’è una macchina per scrivere”
Brigadiere (tra sé): “Ho trovato.”
“Ho trovato punto che voleva dire?”
Agente2: “E’ un suicidio.”
Brigadiere: “forse. O forse no. Ho trovato che la vita era troppo banale per essere vissuta….. no non va e perché ci avrebbe messo il punto?”
Scogliamiglio: “ Ho trovato che mia moglie era una troia e mi sono ammazzato. Brigadiè qui il punto ci va eccome” (ride).
Brigadiere (come in trance): “ Ho trovato. ”
Brigadiere scrivendo su un black notes: “Il morto ha un guanto. Agente suona meglio il morto ha un guanto o ci ha un guanto infilato?
Agente 2: “In italiano forse suona meglio: gli hanno infilato un guanto”
Brigadiere: “Esatto, quello. Il guanto lo hanno infilato dopo, uno che si ammazza non si infila poi un guanto e poi questa mano destra sul tavolo. Se si fosse sparato da solo, questa mano, sarebbe spenzolante, o no agente?”
Agente2: “Giusto, penzoloni”
Brigadiere: “Quello”
“Dunque (scrivendo sul taccuino) mano destra penzoloni, guanto alla mano sinistra. Su di un foglio posto nella macchina da scrivere c’è scritto “Ho trovato. Pistola a terra a destra della poltrona. Vecchia arma da guerra del 15-18 probabilmente tedesca”
Scogliamiglio (con accento siciliano): “L’avevo detto io, che era omicidio, omicidio colposo”
Brigadiere scrivendo e leggendo ad alta voce “Sulla scrivania: un mazzo di chiavi, un vecchio calamario, fotografia di una comitiva allegra”
“Svelto, Scogliamiglio vai in questura e chiama il questore, solo il questore mi raccomando, e quelli della scientifica”
Scogliamiglio: “Quelli che?”
Brigadiere: “Gli esperti, il medico legale etc..”
Scogliamiglio: “Ah”

Brigadiere: “ah, non ti fermare a parlare con nissuno, dobbiamo lavorare con il questore prima che arrivino i giornalisti ”
Scogliamiglio: “Vado comme nu fulmine”
Il problema non è essere o non essere ma essere o malessere
Andrea Pinketts

Orlatrice

Scrittura collettiva

Orlo del precipizio
e cucio desideri
e taglio pensieri su tovaglie ricamate
poi con spago spargo
mi sporgo intrinsecamente voglio
voglia fulva come fragola (Maria)

Sul baratro un bar atro
e io affondo ricordi e desideri.
Cerco un oracolo
ma trovo solo una Pizia
Prego Pizia, "Preci, Pizia!
"Prego, dimmi"
Non so cosa voglio
Non voglio quel che so (Ben)

Oracolo ora tracollo
sul collo e sulla schiena paura e brividi
Pizia, prego "non Preci, Pizia"
delizia so cosa voglio
un futuro altro inventa, Plizia (Maria)
profeta imperfetta
non chiedere il futuro a chi il futuro lo vede
chiedilo a chi lo faa Delfo, a Samo, a Cuma
evita la nebbia e la bruma
a Cuma, a Delfo, a Samo il futuro invento e chiamo
Più lo stringo tra le mani
più scivola come sabbiacome tempo
a Cuma a Samo a Delfo (Ben)

Cuma, Samo, Delfo
già odo odore malsano
tornano indietro
vento le mie parole
Non dirmi Plizia mestizia (Maria)

Oracoli monocoli non vedono il futuro
Del destino il vasto orbe
incompleto sempre appare
a chi d'un occhio è orbo
Né due occhi sono meglio
Quattro occhi ancora peggio
dato che son solo occhiali
Scruta a fondo il Terzo Occhio
brilla occulto al foro interno
Le donne sole sanno dov'è
scelte da sempre per profetesse
Fulve o bionde sopra tutte:
bronzo o oro nei capelli,lo scintillio di arcani metalli
Esse sole sanno, sempre, anche quando non san di sapere
(Fabrizio)

odore di iodio profeti sul mare e sul vento
odo re di odio dio di sventura che grida contento
o dò ore e dì, od io...il tempo non si misura a parole
e se le tue parole, Plizia,davvero sono vento,
che siano aquilone - vento giocattolo,e non scirocco,
vento dei pazzi sciroccati,
che siano tramontana dell'alba
e non bora boriosache siano grecale levantino
e non maestrale pedantePlizia? Mestizia?in amicizia, più letizia!
che tanta mestizia, nemmeno in beozia, manco in dalmazia, forse forse in scizia
Lì c'è mestizia,non fa nemmeno notizia.Ma qui? Ci si sfizia,ci si vizia, ci si inizia
E il vento è una lontana sfinge egizia (Ben)

Seduta sta mestizia
parole e nuvole
fulmini e pensiero
temo fremo spero (Maria)
e la speranza morde
la speranza ingiallisce
sbiadisce
oracolo ora tracollo sul collo e sulla schiena
bionda speranza vana va (Maria)

bionda? Fulva? sempre a me caro fu...
Speranza vana in vano attendo
trasudo mentre sputo la sentenza,
ora colo ora sudo e mai più vani allori.
Cosa siamo noi? Perché!!! (Daniele)"

Cielo in una bottiglia
Siamo Sabbia rosa in un astuccio
Siamo Gialle gocce di acqua piovana racchiuse in un ricordo Siamo"
Samo dice non risponde a questa di domande tra mille
e tra sudo vomito incolore
e cado ma graffio mi rialzo e grido
stringo mi sporgo intrinsecamente credo
non cedo (Maria)

Al bar atro suona la campana di chiusura;
era castanala speranza, ora è tinta,bionda ma finta
spero fremo temo.
Ma è naturale espressionedi desiderio, di passione.
Domani la speranza curvacambia strada e si fa fulva. (Ben)

mercoledì 9 aprile 2008

Foglie


Foglie sfoglio

come le pagine di un libro

ma cadono perplesse

asciutte di sogni

frammenti di uno spazio in frantumi

in auto o in moto percorso

verde o marrone

si confondono ancora pagine di un libro non letto

voglie che il vento lascia cadere immature

Foglie sfoglio e non voglio
Le parole nate per gioco sono bagnate di senso, un senso profondo...

Panni stesi



Son sogni
son panni stesi ad un filo
Son brividi
asciutti e raccolti al tramonto
Son panno steso anch'io
sospeso nel tempo


La punta del naso

Le guardavo il naso, non le orecchie, il mento la fronte, gli occhi. Le guardavo proprio il naso, come a darle la sensazione che la guardassi negli occhi. Ma non era così semplice. Guardarla negli occhi era come sfidare a duello una tigre affamata, con l’unica arma di un delicato fioretto. Non era una guerra ad armi pari. Non era solo la paura di essere inghiottito, divorato dalla sua rabbia. Il fatto era, che io non riuscivo proprio a guardare il suo volto, a starle di fronte, insomma mi nascondevo dietro gli occhiali. Fingevo di sfidarla, di guardarla in viso, ma forse aveva capito il trucco già. Per lei, non ero mai abbastanza. Non ero mai sufficientemente perfetto. “Papà, mi passi la marmellata?” “Subito” Perché non era semplice come con mia figlia?. Lei si che si fidava, che si accontentava, sorrideva bonariamente dei miei errori e mi restituiva l’immagine di un uomo quasi perfetto. Eppure quando eravamo fidanzati, l’amore trasformava i miei difetti in pregi, mi sentivo accettato da mia moglie. Ma poi, gli affanni, la quotidianità ammazzò la passione e dell’amore non restava che cenere. Avevo provato ad alzare la voce anch’io a sbattere la porta, ad andarmene, ma le cose non erano migliorate anzi avevano accentuato la distanza tra il giudice ed il reo. Ricordo ancora quella volta che scoprì gli sms tra me e Lucia (una mia vecchia fiamma). Le si accese il viso di rabbia. Tutto ciò che seppi dirle era contenuto nella frase “Adesso esco e non torno più”. Aveva esagerato. Rimproverarmi davanti mia figlia come un bambino con il dito nel barattolo della nutella. Anche i suoi rimproveri avevano il sapore delle sgridate materne e le mie reazioni il gusto della libertà adolescenziale. Nonostante i miei 40 anni, non mi ritengo un adolescente. Credo che per me sia arrivato il momento della resa dei conti, il momento in cui hai bisogno di dimostrare chi sei e quanto vali, perché non c’è nessuno intorno che te lo ricordi. Lei aveva 42 anni. Se essere quarantenni significa essere privi di sbalzi e di fantasia ecco mia moglie dimostrava tutti i suoi anni. Mai uno strappo alla regola, mai una trasgressione. Né con i dolci, nè a letto. Tutto così convenzionale e banale. A volte per provocarla, cercavo di spogliarla in ascensore come ai vecchi tempi, ma, inutilmente. Mi respingeva. Odiava quello che prima amava, improvvisare l’amore in situazioni impreviste. Eravamo adesso la madre ed il figlio. Cambiano le cose, quando vieni assalito dalla crisi dei 40 anni. Vorresti ritornare indietro, ti improvvisi giovane, ti guardi allo specchio, decidi che tutto sommato non sei male e speri di vantarti di nuove conquiste. In ufficio, cerchi una ragazza da corteggiare, per sentirti più appetibile, sfili attentamente l’anello dal dito, avendo cura che la lei in questione non se ne accorga, e facendo attenzione che non guardi il segno sul dito. E poi, come il Gallo Cedrone, noto film interpretato da Verdone, ti avvicini chiedendole una sigaretta, sperando di attaccare il cosiddetto bottone. Se sei fortunato porti a casa un numero telefonico, su cui inviare sms hard passional o sentimentali (dipende dal tipo di donna). Non li cancelli, perché la mattina servono per il tuo buon umore e la tua autostima, ma tua moglie puntualmente scopre il pin del tuo cellulare e l’incanto svanisce. Quello che era un amore passionale, ma virtuale, perché corteggi senza avere il coraggio di passare al sodo, finisce nella pattumiera con tutti i tuoi sogni hard. Giuri solennemente a tua moglie che non sei mai stato a letto con lei, ma nonostante il più delle volte sia vero quanto affermi, non sei creduto. Il più delle volte, però. Spergiuri che non alzerai mai più il telefono per sentire quelle frasi, che lei definisce osé ma che stuzzicano la tua fantasia erotica ormai spenta. Allora passi ad internet. Sperando di non essere scoperto: e-mail fugaci, promesse di incontri qualche volta rispettati ma, molte volte deludenti, frasi dolci e frasi bugiarde. “Papà, papà mi aiuti ad aprire la bottiglia”. La voce di mia figlia mi riportò in cucina. Ecco mia figlia mi faceva sentire addirittura utile. Avevo da poco terminato una relazione virtuale con una bomba sexy. Questa volta non era stata mia moglie ad interrompere la relazione. Mia figlia aveva scoperto sul mio computer delle tracce di conversazioni in “chat”. Ma, le cancellai al solo rabbuiarsi del suo volto, triste presentimento che il padre che tanto amava, aveva l’età mentale di un suo coetaneo. Quel giorno decisi che qualcosa dovesse cambiare nella mia vita: tanto per cominciare dovevo affrontare quello sguardo autoritario di mia moglie. Non averne paura. Entraì in cucina barcollando nel buio. Mi girai di scatto, così per impulso e ritrovaì mia moglie intenta a ricercare al buio un’aspirina per suo raffreddore. Eravamo entrati entrambi come vampiri allergici alla luce. La ritrovaì, perché in quel momento mi sembrava diversa. La febbre l’aveva addolcita, resa più docile. I capelli sempre raccolti in uno stupido, odioso chignon le scivolavano adesso liberi sulle spalle un po’ curve,coperte da una vestaglia blue. La luce del lampione che proveniva dalla finestra illuminava il suo collo. Timidamente mi accostai. Sapevo che avrebbe respinto qualsiasi offerta di aiuto. Non so perché, ma, quando mi accostai, provai l’istinto incontrollabile di abbracciarla, l’afferrai per i fianchi. Lei si girò di scatto e senza difese abbassò lo sguardo. Le sfioraì il mento e rivolsi il suo sguardo verso il mio. Mi sentii padrone di me stesso, di lei, della nostra relazione, la baciai poi le dissi: “I tuoi occhi sono bellissimi”. I nostri occhi si incrociarono come non lo facevano da tempo ormai. Quel giorno facemmo l’amore. I nostri sessi, le nostre mani, i nostri corpi si incrociarono in un candido amplesso, reso pallido dalla nostalgia di un amore rubato dal tempo ed improvvisamente ritornato alla luce tra gli odori di cucina ed il buio.
Apro questo blog dedicato alla parola, alle parole, alla comunicazione fatta di parole e di segni. Parlare non è comunicare.... le parole non esprimono sempre tutto ed i silenzi a volte sono carichi di significati non espressi. Ci sono a volte troppe parole in aria, ma le parole che esprimiamo per gioco in una poesia, in un racconto, in un romanzo sono parole vere. Le parole nate per gioco sono bagnate di senso, un senso profondo...