martedì 17 dicembre 2013

VIAGGIO A PARIGI V PARTE

"E non farti sfuggire la vita, ogni occasione sappi guardarla come tale. Io sono nato vecchio e la gioventù mi è sfuggita di mano, la voglia di crescere con un obiettivo, con la certezza che potevo cambiare la rotta del mio destino. Non so se abbia avuto delle opportunità, ma se anche le avessi incontrate non le avrei riconosciute come tali." Così concludeva la lettera al figlio, Cupola, con un ghigno beffardo sul viso. Da Parigi, semmai si fosse trovato lì, avrebbe riflettuto su quelle umide parole bagnate di una saggezza a posteriori, della saggezza di chi sa che non può cambiare il proprio destino, ma solo consigliare per il meglio qualcuno. Ed ineffetti Davide, avrebbe pensato al padre in prigione con rammarico e avrebbe pensato anche un pò ad evitare la sua fine. Ma non avrebbe mai pensato alla scuola come ad una via di fuga. Il padre intonava "l'istruzione è importante, non mi piace il tuo modo di comportarti a scuola, a scuola puoi costruire un te stesso migliore" Già ma chi li avrebbe pagati gli studi? E poi le ragazze non se lo sarebbero filato più con un padre in prigione. La madre? Fuggita, sparita. Come avrebbe potuto rintracciarla? A volte pensava che da qualche parte esisteva un fratello o una sorella, o almeno un angelo custode. Così per la prima volta entrò nel Mulin Rouge, a Parigi, pieno di pensieri funesti e non. Tutto sarebbe stato diverso in una città diversa, ma per il momento cosa avrebbe potuto saperne? Le ragazze ballavano mostrando il loro lato più sexy e con le occhiate maliziose facevano il resto per eccitare la platea. Si lasciò per un attimo andare, per un attimo penso di essere in vacanza altrove, non un fuggiasco, ma un turista qualunque, volato lì a Parigi, per visitare la città, il Louvre, le sue bellezze. Poi una ballerina si sedette accanto a lui. Ciao mi chiamo Virginia, anch'io sono italiana, qual buon vento ti porta qui? "Una foglia secca di un autunno appena iniziato" rispose con fare tra il timido ed il grottesco. Lui le donne le aveva sempre trattate male, ma Virginia era speciale aveva qualcosa di diverso e poi era più grande di lui, meritava rispetto, soprattutto perché lì a Parigi si ritagliava una fetta di celebrità. Davide, non voleva ammetterlo a sé stesso, ma accarezzava il sogno di diventare ballerino, si un mestiere da checca avrebbero detto i suoi coetanei. Il tempo dei suoi pensieri durò poco quanto il frusciò di Virginia che scappò in camerino a cambiarsi. Le due mele cotte, intanto, come da copione cercavano di ripassare la "pappardella", cioè cosa Luca avrebbe detto una volta incontrata la sua ex, Vichy lo aiutava con dedizione e quale luogo migliore del Mulin Rouge per distrarre Luca dal pensiero dell'imminente matrimonio della sua ex con un altro. Cupola girava per i soliti affari e .....

domenica 16 giugno 2013

La camicia di lino

C’era una volta una camicia, di lino per l’esattezza di un colore opaco, ma carino. La camicia si trovava con altre camicie della sua età in un castello dorato. Infatti, era ben stufa di quel colore dorato che prese a ridipingere il castello con delle sue amiche camicina e camicetta. Dipingi e Dipingi e “ AH”, urlò all’improvviso camicetta. Camicia si voltò e vide su di un cavallo nero l’uomo con la camicia. Era un gitano bello, ma con degli occhi fieri, dolci ed austeri ad un tempo. Camicia restò impietrita a guardarlo, ma sporca com’era di vernice rosa, il volto le si coprì di imbarazzo e di rosso. Lei si pose innanzi all’uomo nato con la camicia per interrompere il corso del suo destino. “Desidero” gridò con ardore “salire sul tuo cavallo ed unirmi a te, o uomo con la camicia”. L’uomo nato con la camicia fuggì via, spaventato da tale ardire. Come osava quella camicia per di più sporca d vernice proferire tali parole? A lui, l’uomo nato già con la camicia? La camicia corse nel bosco iniziò a piangere disperata, si rivolse a Dio, che nel frattempo aveva un gran da fare e allora corse dalla fata Rosa la quale era impegnata dall’estetista per un manicure. La camicia, una volta che la fata ebbe finito il manicure, rivolse la sua preghiera “Non voglio più essere una camicia, trasformami in un cavallo, così potrò correre al fianco dell’uomo nato con la camicia”. Rosa, dopo aver controllato che lo smalto era perfettamente aderito alle unghie, esaudì il suo desiderio pur tra mille improperi a causa della sua intromissione nella stanza dell’estetista. La camicia si trasformò in un asino brutto e peloso, a causa dell’abracadabra impacciato della fata che non voleva rovinare il “french”. Trasformata in un asino, convinta di essere un cavallo corse incontro all’uomo nato con la camicia e proferì tali parole: “ Con me potrai viaggiare ovunque, sali in groppa percorreremo insieme la città di Pantalonia”. L’uomo con la camicia essendo uomo d’affari disprezzò l’ardire dell’asino che voleva sostituirsi al suo cavallo nero, come avrebbe difatti cavalcato Pantalonia con un asino? Spaventato da tale ardire prese a bastonate il povero asino, e poi continuò il suo viaggio, lasciando camicia, divenuta asino disperata. Il pianto di disperazione attirò l’amica camiciona che la riportò dalla fata Rosa, alla quale rivolse questa preghiera: “Non voglio più essere un asino, né un cavallo, voglio solo essere me stessa”, gridò a gran voce. La camicia prese a splendere di un bianco che più bianco non si può, riluceva in tutta Pantalonia, al punto da abbagliare con la sua luce, l’uomo con la camicia. Egli si recò dalla fata Rosa, la quale era impegnata in un massaggio Shatzu e le chiese da dove provenisse tale luce. Rosa impegnata nel massaggio, per sbaglio indicò la direzione opposta al castello, dove la camicia splendente si trovava, cioè si recò verso nord mentre il castello era a sud. Più correva più la luce si allontanava. La camicia dell’uomo nato con la camicia era ormai sudicia, sporca di sudore, l’uomo con la camicia desiderava fare una doccia, ma essendo nato con la camicia non poteva togliersela di dosso tanto facilmente e senza conseguenze, altrimenti avrebbe perso parte del suo fascino.. Il desiderio di bagnarsi era tale che prese la decisione di togliersela ed infilarsi sotto la doccia di un motel proprio fuori al bosco. In seguito, riprese il cammino stavolta verso sud, verso la direzione del castello. Dopo aver affrontato camicina, camiciona e camicetta a guardia della porta, dove la camicia rilucente sonnecchiava beatamente, entrò nella stanza. Camicia, distesa sul letto, non riconobbe l’uomo con la camicia, perché questi aveva lasciato la sua camicia nel motel; si rimboccò le maniche e proferì queste parole: “Come osi tu entrare a dorso nudo nella mia stanza, senza indossare almeno una camicia?” L’uomo nato con la camicia, che era stato in tutta Pantalonia a curar affari di camicie, tentò di giustificarsi, ma mortificato andò via tra gli improperi di camicina, camicetta e camiciona, intervenute a difesa di camicia. FINALE DA FAVOLA La fata Rosa che aveva terminato il massaggio Shatzu durato una settimana, guardò dalla sua sfera di vetro gli effetti della sua magia. Era una fata un po’ maldestra ma buona, decise che era arrivato il momento per unire i due innamorati: l’uomo senza camicia e camicia. Abracadabra e abracadabra, riportò l’uomo nel castello, il quale proferì tali parole al capezzolo della camicia: “Camicia dolce Vienimi indosso Senza di te Mi sento un paradosso” La camicia riconobbe il gitano dagli occhi fieri ma dolci, gli andò indosso, i due fecero l’amore e vissero felici e contenti. FINALE TRISTE La camicia si trasformò nella bisbetica indomita, una variante della bisbetica domata di Shakespeare, prese a bastonate l’uomo senza camicia così come lei era stata bastonata da asino. I due vissero per sempre infelici ed orgogliosi, liberi di lanciarsi improperi l’uno contro l’altro.