"le parole nate per gioco sono piene di senso, un senso profondo contenuto da un bicchiere di whisky"
martedì 13 aprile 2010
Viaggio a Parigi (part.II)
"Ma cosa fai?" chiese Vicky mentre riponeva in valigia le ultime cose: un rossetto rosso, una camicia bianca, un vestito nero attillato ed un paio di jeans stile anni '70. "Scrivo una lettera, o meglio immagino la sua vita se persevererà nel suo triste errore. La conosci la canzone voc' e notte? Bhè non so, ma mi ricorda qualcosa di simile a noi". Vicky avida di sapere strappò dalle mani quel foglio. Le valigie erano pronte, salirono in auto in fila come un esercito in missione speciale. Una volta in auto, Vichy aprì la lettera e lesse: "Una voce bussa alla finestra. Non riesco a dormire, tutti dormono. Sopravvivere all'angoscia è terribile, colpevole di aver ceduto ai ricatti, ho perso la libertà e forse il senno. Tutte le notti ascolto una voce che mi chiama. Tic, tac bussa alla porta della mia mente. E' la tua? Cerco di non affacciarmi alla finestra, ma il desiderio di vederti lì, sotto il mio balcone, è più forte del vento della tramontana. Così mi alzo in piedi in vestaglia, e cerco con lo sguardo il tuo, il tuo sguardo timido, quello che a stento mi sfiorava quando mi rivolgevi la parola. Dicono che il tempo serva a far smarrire i ricordi, dicono che il tempo asciughi le lacrime, come panni al sole. Io non sopporto questo distacco. Il tempo non colma le distanze, non abbatte i ricordi, nè li sbiadisce. Rivedo come in una cartolina i nostri incontri fugaci. Rivedo i tuoi occhi e li immagino, dolci nocciole che vorrei accarezzare con il mio sguardo. Immagino il mare che urla la nostra rabbia. La rabbia e la noia di non aver operato le nostre scelte. E poi c'è l'amaro di vedere una vita che non è la propria, seguirla da lontano senza identificarsi come un film in cui non sei tu il protagonista. Preferirei la solitudine alla malinconia che mi assale ogni volta che mi sovviene il tuo ricordo. Non essere più triste. Non sarò più al balcone ad aspettarti. Non più. Ti ricordi? Una volta sola mi chiamasti amore, ma il vento riporta alle mie orecchie quella parola, tutte le notti, come una catilena dolce ed amara ad un tempo. Ti porterò dentro nel mio ventre, e quando sul cuscino volgerai il tuo pensiero al mio, le nostre menti si incontreranno almeno nel ricordo. Ti amerò per sempre,tua,voc' e notte". Vicky cercò di trattenere l'emozione, poi gettò via il foglio, e disse: "E' tempo di parole, Luca". "Ma non credi che avresti dovuto fare la psicologa nella tua vita?" Replicò lui adirato da quel gesto terapeutico. Il Pupo guidava con una mano, con l'altra aspirava il solito sigaro, sulla destra sfrecciava un treno superando l'auto. Il Pupo al resto della comitiva "Mi sembrate zuccherosi come due mele cotte" Vicky, rivestita della sua solita semplicità disse: " Da piccola immaginavo di essere ferma, quando un treno superava l'auto dei miei genitori ed io ero seduta sulle ginocchia di mia madre, in genere aprivo il finestrino e volevo afferrare il treno con le dita, così come quando ti aggrappi alla borsa di tua madre che sta per uscire, la odi perchè pensi che non tornerà mai più". Si mise a canticchiare una canzone "Ain't' no sunshine when she's gone", con la sua voce calda blues, materna ed infantile ad un tempo.....
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