lunedì 2 febbraio 2009

Schizofrenia (continua da pura paura)


La porta si richiuse. Forse è' il vento pensai. Soffia forte come aria da aspirare. Forte. "Eppure non c'è tempesta". I pensieri fluttuavano nell'aria stanca, stanca di esistere. Ma la paura cresceva sempre più forte. "Devo restare calma" pensavo. Ma l'agitazione cresceva. Calma. Quella consonante "c" metteva ancora più agitazione addosso. Ma perchè calma non inizia con una bella "s" sonora? All'improvviso dei passi. Passi metallici accompagnati dal vento, giù per le scale. Le porte si aprivano e chiudevano. "Strano", pensai, "eppure credevo che Cecilia fosse uscita". Mi guardai allo specchio, sciolsi la coda di cavallo e lasciai i capelli liberi di cadere a testa in giù. Una risata. Poi un pianto. Mille ricordi si affacciavano alla finestra della mia mente. Mia madre che abbracciava mia sorella Cecilia, a me Maria non riservava che schiaffi. Mia sorella doveva scomparire dai miei ricordi. Era diventata un'ossessione il ricordo di quelle carezze riservate solo ed esclusivamente per lei. L'acredine di cui ero circondata era diventata parte dell'asprezza del mio carattere. Pungeva come riccio. Uno straccio di riccio, veramente. Oramai mi sentivo troppo stanca anche per pungere. Mi guardai allo specchio. Eppure non ero così male, non ero così dissimile da Cecilia. Eppure così diversa, così solare, così aperta e disponibile al dialogo. Cresciute insieme, Cecilia era il mio alter-ego, ottimi voti a scuola, brava nello sport, non c'era una cosa che non sapesse fare o dire al momento opportuno. Io invece ero loquace al momento inopportuno, battuta pronta al tempo sbagliato, come un accordo fuori posto in un'orchestra sinfonica, un clown da circo capace di far piangere anzicchè ridere.
"Maria Cecilia, Maria Cecilia" mia madre dall'altra stanza gridava a voce alta. "Cec" ed un urlo. La porta si aprì, poi un urlo secco. Il mio corpo bagnato di sangue, ed un coltello nelle mie mani.

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